IMPOP-PVRG VOMPO-TUAMADRE-CANIS: legami d’arte e dialoghi





Mi chiedo quanto possa rimpiangere la casa di campagna di Barbie e i tempi in cui avrebbe flesso la zampa turchese solo per vezzo ora che compare in piena guerra esistenziale, bandito dal mondo dei pastelli e pronto ai meta-transfert più temerari.
Non si sentirà troppo solo nella vetrina dei balocchi per adulti cheTuamadre condivide col più insolito dei bimbi sperduti che firma l’unica opera in mostra col titolo della stessa fanzine che la compone e diventa per noi Pvrg Vompo. Così, tra il nostro minipony con la testa infilata in un coniglio offerto in sacrificio e i due topini cheTuamadre racconta con un certo affetto e stende enormi sulla tela coi corpi allacciati come se la stretta convivenza li avesse fusi insieme (o finissero per divorarsi l’un l’altro per la stessa ragione…), penzola dall’alto della parete un telo grezzo, spennellato in lungo e in largo senza cura, dove più d’un centinaio di mattonelline di carta raccontano le gesta (?) del poco noto simil-black metal che ha nomePvrg Vompo.

“Ma non significano un cazzo” mi dice lui, bimbo tra chi si perse, e mentre mi parla e non risponde sono sempre più convinta che del resto, per quanto ne so, nell’arte si mente.
Appena oltre ci aspettano le bacheche nere di Canis, un microcosmo di intimità e volti febbrili sepolti dal vetro delle teche. Parrebbero sequenze di pellicola o istantanee rimodulate in digitale, eppure niente che spetti ai nostri sguardi è mai passato per un obiettivo. Quegli occhi fondi, troppo grandi per fronte e zigomi piegati al nero che ne vuole ancora, non hanno avuto più d’un foglio e poco altro che una matita per risalire le correnti e farsi largo. Urla ipnotiche. Sembra possano evocare chissà che vortici, mentre raccontano I dettagli d’un dolore sincero, fotogramma dopo l’altro, e l’attore sembra non sostituire mai se stesso, mentre il suo viso si perde nella frazione ininterrotta dei vetri d’uno stesso specchio.
“Ne avrò lasciati alcuni – a gridare sul serio, dico io – in qualche casa abbandonata” e se ce lo confessa lui, non dovremmo dubitare sia così. Il guaio, però, è aver dimenticato dove per venirseli a riprendere al bisogno. Oppure no. Del resto l’assoluta libertà che accorda ai suoi piccoli ominidi deformi è quanto di più sereno potremmo aspettarci da un artista. “Restino pure là”: la contaminazione del tempo, la pioggia o il sole siano per loro l’ultimo dei ritocchi possibili di cui altrimenti non potrebbero godere.

E per quanto un solo “baffokomintern” apra le porte del salotto bene di chi conta e “I ragazzi del muretto” banchettino ancora sui nostri pochi resti, è pur sempre un buon momento perchè sui cieli di Manhattan si torni a volare con gusti un po’ retrò, senza dover rischiare di ricorrere ai Ghosbusters per infrangere di rosso I pallori di una qualche Wall Street.
ila_byakuren